Mi ricordo di una tavola rotonda di alcuni anni fa, forse quindici o giù di lì, nella quale in una città della Germania che non identifico più si discusse attorno al seguente tema: “Was ist Alte Musik?” ovvero “Cos’è a Musica Antica?”. Non è questa la sede per enumerare i vari interventi, che andavano da quello che definiva Musica Antica tutto il repertorio che si eseguiva su strumenti diversi da quelli per così dire “moderni” a quello che tentava di tracciarne dei confini temporali: non rammento quale fu la definizione finale e, confesso, non mi è chiaro neppure se ve ne fosse stata una, data l’inutilità del tema. Ricordo solo che l’argomento mi fece pensare molto e che la domanda “Was ist Alte Musik” mi accompagna tuttora. Eravamo all’inizio degli anni Ottanta e da allora tanto è cambiato e si è sviluppato intorno a questa “ritrovata” prassi esecutiva, sia negli ambiti concertistici e discografici specialistici sia nel panorama musicale generale.
Il pubblico e i musicisti in genere hanno ora una maggiore conoscenza del repertorio più antico (negletto nei programmi di studio dei Conservatori e ridotto spesso a informazioni nozionistiche nella Storia della Musica) grazie anche a una forsennata corsa all’inedito e alla prima esecuzione assoluta che – anche se talvolta con risultati deludenti dal punto di vista della qualità delle partiture o della secondarietà rispetto al repertorio coevo già conosciuto – ha sortito dalle biblioteche una grande quantità di partiture e spartiti polverosi da anni giacenti.
Tra capolavori riscoperti e opere che torneranno tra gli scaffali d’archivio abbiamo così ritrovato il gusto della poetica, il piacere della Maraviglia e, soprattutto, abbiamo compreso che ciò che noi identificavamo come antico e lontano dalla nostra sensibilità è in realtà assai più vicino a noi di quanto possiamo pensare.
La domanda “Was ist Alte Musik” resta tuttavia quanto mai attuale, anche perché il repertorio musicale che si è rivisitato su cosiddetti strumenti originali si è allargato a macchia d’olio, comprendendo ormai quasi tutto il secolo XIX.
Ora: se in questo termine di Musica Antica includessimo tutto il repertorio che può essere riproposto “su strumenti originali” ci renderemmo presto conto che le composizioni di Brahms eseguite su di un pianoforte Bösendorfer di fine secolo sarebbero già musiche antiche. Per assurdo allora anche i jazzisti che scelgono di suonare su saxofoni degli anni trenta e quaranta invece di usare quelli moderni, che già sono differenti in sostanziali dettagli della costruzione e quindi nel suono, usano strumenti originali. Fuori dalla Musica Antica resterebbe così una percentuale minima e recentissima di tutto il patrimonio musicale conosciuto: praticamente assurdo.
Altra possibilità è quella di datare la musica considerata antica e porre una frontiera temporale al repertorio; e fortunatamente nessuno finora si è posto un problema tanto stupido. Poi c’è il problema degli interpreti: come identificarli? A me capita spesso di essere visto come “specialista”, quasi che il fatto di suonare spesso strumenti antichi come la viola da gamba fosse una sorta di branca della medicina, in cui il “gambista” è paragonabile al dermatologo o al dentista: fatto molto spiacevole, poiché così si resta condizionati da un solo aspetto particolare di un singolo musicista, escludendo a priori o per mancanza di conoscenza qualunque altro elemento delle sue capacità e della sua conoscenza o formazione. Cosa, questa, tipica della nostra era.
Anche altisonanti nomi del concertismo passato e presente restano abbinati per luogo comunque a un altro nome che li identifica per “essere bravi in quello” come sovente si sente dire (Gould-Bach, Böhm-Mozart eccetera). È ben vero che ogni interprete orienta la sua scelta di repertorio, di un compositore particolare, di un’epoca specifica, di un’area geografica e culturale o di uno strumento musicale in funzione (e sovente inconsciamente) dalla sua particolare inclinazione artistica e alla sua sensibilità; ma noi, in questo secolo, abbiamo portato la classificazione di ogni cosa all’estremo. Mai nelle epoche passate si è sentito tanto il bisogno di dare nomi, di delimitare le epoche e classificare i generi artistici e musicali (e anche le persone) come in questa. La musica è, tra le varie denominazione che occuperebbero intere pagine, leggera (etichettando così i contenuti musicali e poetici, escludendo con questo termine qualunque possibilità di profondità artistica), contemporanea (e quindi in continuo aggiornamento con gli uffici dell’anagrafe), popolare (non si sa dove inizi e dove finisca), etnica (orrendo nome per classificare non si sa bene cosa), classica (nessuno sa rispetto a che), colta (pare che pochi eletti siano in grado di apprezzarla e capirla: in questa categoria rientra di tutto a piacimento di chi usa il termine); poi si può entrare nel labirinto delle sottospecie.
C’è quella romantica, pre-romantica, classica, pre-classica, tardo-romantica, barocca (il termine più abusato: c’è dentro di tutto anche qui, qualunque epoca, scuola, stile e gusto anche lontanissimi tra loro e senza nesso. Tutta musica barocca). E ancora il pre-barocco, la musica rinascimentale e così via.
Chissà se J. S. Bach sapeva di essere un musicista barocco come Stradella e Carissimi o se Monteverdi ha mai considerato di essere stato un compositore contemporaneo. Tutto sotto l’ombra dell’ultimo grande termine: la Musica Antica.
Il sarcasmo esce naturale quando si vede con che fatica i negozianti di dischi dividono per categorie i CD. È un fenomeno sintomatico di un modo di pensare e di vedere la musica che rasenta la maniacalità del pubblico, di molta critica e pure degli stessi musicisti che troppe volte si ghettizzano in modo assurdo.
In questo esasperato uso della terminologia noto solo barriere e simbolici muri che separano i vari generi musicali. Invece abbiamo imparato proprio dall’approfondimento dello studio sulle musiche, ad esempio, del Cinque-Seicento che le arti erano non solo complementari e viste come “sorelle”, ma che la Poesia, il Teatro, la Danza e la Musica erano una cosa sola, quasi una sola Arte/Scienza che tendeva – arrivandoci – a vertici espressivi di sconcertante modernità.
Non si tratta più quindi di un’epoca che ha gettato le basi per quello che è seguito, e non è quello un periodo di primordiali esperimenti: è stato il punto di arrivo di un percorso culturale mai raggiunto dopo. E ancora, insieme con questa Arte che comprende Poesia Teatro Danza e Musica, l’Architettura e le arti figurative compiono il quadro di una espressione totale che potremo vivere, capire e amare solo dopo l’abbattimento di molte delle barriere che ci siamo costruiti. E potrei dire ancora che il Seicento italiano non è stato a sua volta preparato da un’ulteriore epoca, per così dire, di gestazione: in qualunque tempo precedente il congiungimento delle Arti ha portato a raggiungere vertici assoluti e non punti di arrivo di un progresso in corso.
Inoltre se parliamo della sola Musica, in ogni epoca ma soprattutto in quella che va dal Cinquecento fino a metà Seicento, non dobbiamo assolutamente separare i generi musicali. Troppo sottile e presente è il legame che univa la Corte, la Strada e la Chiesa; e questo anche nella Poesia come nella Danza e ancora nel Teatro. Non solo: ma il fatto che noi viviamo nel XX secolo ci pone in una situazione di grande vantaggio rispetto anche agli studiosi del passato.
Con i mezzi e le informazioni che possediamo noi possiamo tracciare una linea che unisce le espressioni musicali (nelle loro diverse sfumature) come mai poteva essere fatto prima
Ma solo se cesseremo di isolare i generi capiremo veramente come quello che noi oggi chiamiamo “musica leggera” fosse uno stile e un genere, appunto, usato e fruito allo stesso modo di oggi anche 350 anni fa.
Per noi musicisti poi sarà importante capire quanto delle pratiche musicali del nostro secolo, che fanno parte del nostro innato bagaglio personale, vi sia nel repertorio relativo più antico; e le conclusioni riservano sorprese eclatanti perché ve ne è moltissimo.
E sarà importante capire come la musica leggera e le tecniche improvvisative del Jazz rispetto a quelle antiche si prestino ad analogie sorprendenti se analizzate con conoscenza e criterio; l’espressione vocale dell’Aria e del Madrigale si ritrova in artisti di oggi che conosciamo benissimo ma che non riusciamo ad associare ad altri repertori ed epoche diverse.
Certo, la viola da gamba, il liuto, il clavicembalo e il lirone sono, con altri, strumenti che sono restati legati ad un mondo, a una moda e a una estetica che per diversi motivi è cambiata: così, a partire da una certa epoca la viola da gamba non è più stata attuale e non ha fatto parte di quella rosa di strumenti che hanno seguito il corso della storia, come il violino e gli strumenti ad arco o l’oboe e gli altri strumenti a fiato, che hanno cambiato e modificato parti e proporzioni della loro struttura (senza perderne le caratteristiche) per adeguarsi ai nuovi stili; o per consentire al contrario, diverse e nuove espressioni artistiche ed espressive, in linea col mutare dei tempi. Non progresso dunque – che ci farebbe vedere il violino “barocco” come primordiale di quello moderno – né evoluzione; ma mutamento o adeguamento, se proprio sentiamo il bisogno di usare dei termini che comunque sono un po’ forzati. È già un primo risultato però non usare quelli sbagliati.
Tutto questo, visto che mi è stato chiesto di scrivere questo breve testo, per dire che è il momento, se non di abolirli tutti, di mettere definitivamente al bando il temine di Musica Antica: la Musica Antica è morta e resta la Musica. Gli strumenti antichi sono morti e restano gli strumenti. Siamo, credo, tutti d’accordo infatti nel definire il liuto e a viola da gamba e il cembalo strumenti, e non strumenti antichi. Questo, spero si sia capito, non per un mero aspetto formale ma affinché quello che oggi è « musicista barocco” non sia visto dal “moderno” come uno specialista o uno strumentista per forza meno bravo; e affinché il musicista “moderno” non sia visto dal “barocco” con la sufficienza e la presunzione di chi crede di sapere chissà cosa solo perché usa un arco più corto e quattro corde di budello.
Resteranno i veri virtuosi e i musicisti di talento così come i musicisti mediocri e gli scarsi strumentisti su qualsiasi strumento, cantando qualunque repertorio di epoca diversa e dello stile più disparato.